stella mc cartney

COMMERCIALE VS. REALE

falabellaBorsone e zaino Falabella in nylon eco-sostenibile, con rivestimento interno ottenuto da bottiglie di plastica riciclate.

Dalla collezione uomo ss17 Stella Mc Cartney

“Sarà al mentolo l’ultima scoria” cantava Lucio Battisti nel celebre Canto Brasileiro. Era il 1973 e non ci poteva immaginare che anche l’etica della moda sarebbe stata investita da un fenomeno analogo a quello usato per i formaggini: l’uso del marketing ecologico per vendere vestiti, calze e tutto il resto. Perché c’è una certa differenza fra l’elaborazione morale a favore del pianeta e degli esseri viventi, animali inclusi e l’uso di questi concetti in senso commerciale.

Si può obiettare che il risultato finale è buono, cioè la diffusione delle idee e il finale minor impatto sull’ambiente, ma il diritto di restare perplessi rimane, assieme ad un certo stupore fra il dire e il fare delle aziende.

Tuttavia si va avanti a piccoli passi, spesso sperimentali, spesso incerti sul sfondo finale della ricerca di un minore impatto sulla Terra. La Wolford sta mettendo a punto un tessuto ecologico che si dovrà dissolvere nell’ambiente in modo non solo da non danneggiare il verde ma di fondersi con lui. Calze e lingerie d’autore saranno prodotte con un polimero di fibra cellulosica “cradle to cradle”. Ci mangeremo i collant? Spero di no, ma se dovesse diventare utile, ne parleremo.

Riparliamo di Stella Mc Cartney, paladina del cruelty free, che ha dichiarato guerra alla plastica e lavora ad una nuova fibra tessile ricavata dai rifiuti marini. La borsa “Falabella Go”, presentata a Parigi di recente, è di questo nuovo materiale, utilizzato per produrre anche delle sneakers siglate adidas. Secondo la stilista “ ricavare abiti dalla spazzatura sarà un nuovo lusso”. Ci permettiamo di dubitarne, anche se lodiamo le intenzioni. Perché sempre di plastica si tratta, anche se riciclata. Forse sarebbe meglio trovare il modo di usare materiale naturale senza accanimenti e orrori. Forse. Luisa Ciuni

 

“The last waste will be
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CRUELTY FREE

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Stella Mc Cartney, che a novembre presenterà la sua prima linea di menswear

Produrre inquina. Di conseguenza, molte aziende del fashion, non potendo rinunciare a farlo, si stanno strutturando per limitare al massimo i danni sull’ambiente. Ma siccome il concetto di moda etica è estremamente vasto e diversificato, alcuni marchi sono andati oltre l’attenzione verso l’impatto ambientale.

Alcuni si sono focalizzati sui tessuti, altri sulle condizioni di lavoro dei propri operai mentre altri, sommando in un’unica sintesi i fattori, hanno stabilito di varare solo prodotti “cruelty free”, fabbricati cioè senza sofferenza animale, con una seria attenzione ai terzisti e utilizzando al massimo materiale riciclato per limitare danni a fiumi, laghi, montagne, aria.

Una soluzione di necessario compromesso che, nella sua portata complessiva, ricorda un po’ il mondo dei vegani (nel bene e nel male). Perché riesce ad evitare pelle, piume, pellicce e persino certi tipi di lana per non causare sofferenza agli animali, ma non rinuncia al sintetico. Tema fortissimo quello animalista, tema urticante: decisione che comporta molti sacrifici di stile e che, in certi casi, vende plastica o cotone rinforzato al prezzo delle stoffe o dei materiali più raffinati. Un doppio affare? All’acquirente arriva un prodotto che non sempre vale il costo richiesto, essendo costituito da materiali poveri. Ma non usare pellame riduce l’inquinamento ambientale e il consumatore finale condivide questa opzione, grazie anche a una moral persuasion planetaria.

Stella McCartney è una paladina del “cruelty free“, tanto che la sua azienda si autodefinsce “vegetariana” ed ha eliminato non solo i derivati animali ma anche quelli il cui utilizzo comporta ulteriori elementi di crudeltà verso le bestie come la lana d’angora. Il marchio ha realizzato una catena animalista verticale che non cede a compromessi di sorta. Nel mondo del cuoio cucito a mano, la sua ultima invenzione sono le scarpe “Brody”, modello dalle linee unisex. Nessuna bestia è stata sacrificata per fabbricarle e sono perfettamente eco-friendly. Speriamo che Crozza non lo scopra mai, se no finisce a sketch come col cuoco vegano. Luisa Ciuni

 

Manufacturing pollutes. As a consequence,

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FUR ABOLITION

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Backstage della campagna fw 2015 di BOSS

L’uso della pelliccia nella moda è controverso da molti anni. Da un lato gli animalisti e molte celebrities ne domandano l’abolizione completa dalle collezioni sottolineando le crudeltà verso gli animali commesse da allevatori e le orribili condizioni in cui le bestie vengono tenute e uccise. Dall’altro lato, colli, stole e capi interi sono talmente “dentro” al fashion che pochi stilisti, anche se consci del problema, hanno avuto il coraggio di eliminarli del tutto. La pellicceria non è, comunque, solo un problema di umanità verso gli animali, ma di inquinamento. Infatti i procedimenti utilizzati per lavorare le pelli sono molto onerosi per l’ambiente. Un elemento che si è saldato a quello morale e che ha generato piano piano nel tempo una crescente disaffezione – per lo meno in una determinata fascia di consumatori occidentali – nei confronti del genere. Non tutto il pubblico è uguale e non tutti gli stilisti ragionano allo stesso modo. Di poco tempo fa è la decisone di Stella McCartney di non usare la lana della Patagonia. Una risoluzione presa dopo avere visto le sofferenze inflitte ai greggi dai tosatori. Si arriverà sul suo esempio ad una moda vegan? Difficile a dirsi. Ma qualche prodromo c’è. Intanto il marchio Hugo Boss ha annunciato, a partire dalla collezione autunno-inverno 2016, il varo di linee del tutto fur-free, libere anche della pelliccia di coniglio, la meno costosa. Il marchio utilizzerà solo eco-pellicce ed eco-pelle. La decisione è stata preannunciata nel bilancio di sostenibilità 2014, a riprova di quanto i temi etici oramai siano diventati così importanti da entrare nei consigli di amministrazione esulando dalla sensibilità dei singoli. Iniziative analoghe sono state prese anche da Tommy Hilfiger, Calvin Klein, e, per gli italiani, da Geox. Luisa Ciuni

The use of fur in fashion has been debated for years.

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