shakespeare in style

SHAKESPEARE IN STYLE

Con Cristopher Marlowe, William Shakespeare è il testimone più acuto ed insieme il più raffinato cantore dell’ascesa dell’Inghilterra. Compiuta la riforma anglicana, ridimensionato con forza poderosa il pericolo spagnolo, realizzata un’alleanza – nel complesso solida – tra monarchia, aristocrazia e classe borghese-mercantile, a cavallo tra l’era di Enrico VIII e quella di Elisabetta I, nel regno oltre Manica inizia “The Golden Age”.

L’Inghilterra entra a pieno titolo nel novero delle grandi potenze internazionali. La dinastia Tudor porta il Paese a confrontarsi alla pari con i nemici di sempre, Spagna e Francia, ma anche con il Portogallo, l’Impero germanico, l’Impero ottomano, gli Stati italiani, in breve con il G8 di allora. E’ chiaro che l’accresciuto prestigio del regno offre terreno fertile al boom delle arti. Tra le varie figure in campo, quella di Shakespeare è quella che che sa esprimere al meglio l’apoteosi appena raggiunta.

Il figlio del guantaio e conciatore di Stratford Upon Avon, destreggiandosi con talento fra tragedia e commedia, è l’uomo giusto che fa la cosa giusta nel momento giusto: non solo lancia l’Inghilterra nell’Olimpo delle nazioni con una produzione artistica di valore universale, ma anche e soprattutto “dipinge” un grande passato per la nuova grande potenza. Senza dubbio interpretandolo, adeguandolo al gusto dell’epoca – nonché al bisogno di grandeur del neonato Impero -, accostandolo al passato di altre realtà, la Danimarca di Amleto ed in particolare la Roma antica di Giulio Cesare, di Coriolano, di Marco Antonio, di Tito Andronico.

Sia chiaro: nelle sue opere, il passato remoto o prossimo dell’Inghilterra non è edulcorato tout court. Calibrandoli in giusta dose, Shakespeare mette in scena non poche virtù ed altrettanti vizi dello status ante quo: coraggio guerriero, fierezza, spirito indomito, ma anche congiure, intrighi, persino follia. Vale per “Re Lear”, “Macbeth”, “Enrico IV”, “Riccardo II” e così via. Senza perdere di vista, come si è detto, altre dimensioni, anche a lui contemporanee, come nel caso di “Otello” o de “Il mercante di Venezia”.

Riservando tuttavia all’ Italia – secondo un luogo comune ampiamente diffuso e persistente nei secoli – il ruolo di scenario perfetto per situazioni idillico-arcadiche – nel “Sogno di una notte di mezza estate” – o comunque per l’amore, felice o infelice, ma in ogni caso infarcito di equivoci, da “Molto rumore per nulla” a “Romeo e Giulietta”. La rappresentazione di questo mondo così composito ha nel teatro shakespeariano il suo luogo deputato.

Ciò fa di questa esperienza qualcosa di democratico ante-litteram, anche per quanto riguarda lo stile, il modo di vestire: a differenza di quanto accade nella Francia delle tragedie di Corneille o di Racine, a Londra anche il popolino, insieme alla nobiltà e alla stessa Corona, trepida per la sorte di Giulietta o di Desdemona e ride delle baruffe delle “Allegre comari di Windsor” o della “Bisbetica domata”.

Al contempo osserva cosa indossano eroi ed eroine. Il palcoscenico è in qualche modo anche passerella, luogo in cui non solo si racconta una storia, ma anche si propone uno stile che fa presa sul pubblico. Secondo una dinamica bidirezionale: la moda inglese dell’epoca – che guarda a Parigi o alle corti italiane – sale al palcoscenico e dal palcoscenico discendono ispirazioni che condizionano il gusto, soprattutto a corte o nei circoli nobiliari. In un’epoca in cui la concezione filologica del costume di scena è ancora di là da venire, Amleto, Giulio Cesare oppure Otello vestono non tanto diversamente dal Duca di Buckingham, da Sir Francis Drake, dal conte di Leicester, il favorito della Regina Vergine.

Allo stesso tempo, le pellicce barbare alla Re Lear, le armature alla Enrico IV si rispecchiano nelle pellicce e nelle armature dei nobili britannici. Non meno dei mantelli tartan alla Macbeth, per quanto viscerale sia la rivalità tra Inghilterra e Scozia. Evidentemente anche allora la moda misconosceva le frontiere spazio-temporali. Cosa che nel tempo non è affatto mutata. Conclusione? Lo stile ed i richiami “Cool Britannia” a cui ben pochi stilisti di oggi sanno resistere deve parecchio a quella primordiale passerella che è stata il teatro shakespeariano. God save the style. Giorgio Re

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