ROMEO GIGLI 1995
Julian Sands photographed by Max Vadukul.
Ten years ago flowers and stripes design were trendy as they are today. Photo by Viviane Sassen, Top Model Will Chalker. Fashion by Lacoste, Frankie Morello and Romeo Gigli.
In un set creato con assi di legno grezzo e vecchie poltrone, Babic creava un’atmosfera new dandy. Lo styling curato da Tommaso Basilio, era fatto da un mix di scozzesi (trend ancora in auge) tra i quali spiccano una vestaglia di Hackett London e i pantaloni over di una delle ultimissime collezioni firmate da Romeo Gigli.
In a set made of planks of raw wood and old armchairs, Babic created an atmosphere of a new dandy. The styling of Tommaso Basilio was made from a mix of tartan (still in vogue) among which a robe and trousers by Hackett London and oversize pants from one of the latest collections designed by Romeo Gigli
Le campagne presenti in questa gallery sono del 1994 e più precisamente della stagione autunno/inverno. Il “secondo semestre”, come si dice in gergo pubblicitario. La vestibilità del capospalla era ancora fortemente vicina alle larghezze degli anni ’80; ben lontana dalla forma asciutta che avrebbe, all’ inizio del nuovo secolo, rivoluzionato il guardaroba maschile. Idem per pantaloni, camicie e cravatte. E’ interessante notare quanto il gilet fosse en vogue: in maglia, destrutturato, o in tessuto ma sempre morbido nella forma, e mai aderente al corpo. Le ambientazioni fotografiche erano praticamente assenti e i fondi neutri; le luci piuttosto naturali e poco contrastate fatta eccezione per gli effetti chiaroscuro di Michelangelo Di Battista che, guidato da Mauro Rotini, si ispirava, all’ epoca, ai contrasti degli ultimissimi ’80 di Nick Knight per Yamamoto. La caratteristica più evidente è l’ atteggiamento dei soggetti: intimista, pensoso, riflessivo. A discapito delle più conclamate logiche pubblicitarie, i soggetti talvolta venivano immortalati perfino ad occhi chiusi, come nello scatto fatto a Werner da Mario Sorrenti per Dolce&Gabbana o il primissimo piano scelto da Paul Smith. Mentre Max Vadukul, per Romeo Gigli, aveva puntato sulla melancholia che trasmetteva lo sguardo del modello: perduto e fisso al di là dell’ ultimo orizzonte….
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Vent’anni orsono Gigli lo aveva ripreso dagli anni ’60, rivisto e corretto, idem Dolce e Gabbana che avevano insistito soprattutto sulla vestibilità del pantalone. E poi Costume National, Prada e Versace: sto parlando di slim fit . Dalla fine degli anni ’80 e per tutto un decennio, l’abito maschile ha subìto una metamorfosi che ha raggiunto il suo apice con la prima collezione firmata Slimane per Christian Dior, nel 1999. L’ingresso di Hedi Slimane presso il gruppo LVMH determinò un’ ulteriore drastica trasformazione dell’ abbigliamento maschile; e naturalmente si rimpicciolirono anche camicie e maglie e la larghezza della cravatta si asciugò fino a 4 centimetri. Da allora, solo un tentativo, da parte di Stefano Pilati per Yves Saint Laurent, di tornare ai tessuti cedevoli e alle forme comode del primo Armani, e qualche raro indistruttibile patito dell’over, come Yamamoto, che persevera con puntuale coerenza nella sua linea stilistica. Tutto ciò, senza grande successo. Sarà che Pilati non è stato sorretto dal medesimo battage pubblicitario di Gigli e Dolce & Gabbana dei tempi che furono, ma neppure di quello Dior nei primi anni di Slimane. O sarà perché il “largo” dona a pochi anzi a pochissimi. Tuttavia, pur senza eccessi, nelle ultime sfilate dell’anno scorso (collezioni p/e 2012), qua e là si è visto qualcosa di large. La moda è ciclica: hanno stufato i bottoni della camicia che rischiano di strapparsi, i pulloverini super aderenti che segnano perfidamente ogni minimo difetto fisico, le giacche che si abbottonano a fatica e i pantaloni che ogni volta che ti alzi dalla sedia restano appiccicati al polpaccio. Anche le cravatte troppo strette sono superate. Si volta pagina? Naturalmente non ci potrei giurare: secondo me alle sfilate di questo gennaio ne vedremo delle belle.