LEISURE AND THE CITY
Questo nuovo capitolo di Fashion Fil Rouge si propone di avere uno sviluppo un po’ differente rispetto ai precedenti. In altre parole: ferma restando la prospettiva storica si parte da una considerazione relativa alla moda maschile di ora per poi valutare a ritroso le connotazioni dell’eleganza di un tempo, evolutesi secondo processi ben precisi sino ad essere parte integrante di quella presente.
L’assioma, in verità, è un po’ lo stesso di sempre. Da un determinato momento in poi le barriere tra codici, funzioni ed occasioni d’uso delle varie tipologie del vestire Uomo si allentano, quando non si annullano del tutto, per costruire in un nuovo modo di concepire ed utilizzare la moda, molto più libero, fluido, non legato ai diktat e/o ai doveri di rappresentazione sociale, bensì alla personalità e all’individualità. Grande conquista, va ribadito, raggiunta dopo secoli e secoli di codificazioni imprescindibili e vincolanti.
Al dunque: è innegabile che la moda Uomo di oggi sommi e mescoli tra loro canoni propri del vestire da città – o da lavoro – con elementi un tempo presenti unicamente nel vestire leisure, quello riservato alla vacanza, o quanto meno al tempo libero, con risultati interessanti. Dato tutt’altro che ovvio sino non molti decenni fa. Il concetto di vacanza nel senso contemporaneo del termine nasce, a grandi linee, con la Rivoluzione francese e quella industriale, ovvero con l’avvento al potere della borghesia, che scopre sia il mare che la montagna come luoghi preposti allo svago.
Diversamente dai secoli precedenti, lavorare ed avere successo nella professione diventa motivo d’orgoglio. Ancor prima, sino all’Ancien Regime, chi stava al vertice della scala sociale, l’aristocrazia, non lavorava – al massimo faceva la guerra – e quando nei mesi più caldi si ritirava nelle tenute di campagna continuava… a non fare nulla, praticando tutt’al più alla caccia, in sostanza facendo la guerra agli animali anziché agli esseri umani. Chi invece lavorava “davvero” – commercianti ed artigiani, per non parlare dei contadini – di sicuro non andava in vacanza.
Per formazione mentale ed attitudine morale, la nuova classe leader si sente però in dovere di sottolineare, anche nello stile, la separazione tra le ore dedicate alla professione – con relativa, seriosa “uniforme” composta da giacca, gilet e pantalone in tonalità più che sobrie – rispetto a quelle riservate al relax, concedendosi in questi momenti linee e fogge più facili, così come colori più “di respiro”. Concedendosi maggior disinvoltura, ulteriormente accentuata nel caso dei giovani e non di rado riferita alla pratica dello sport: polo, golf, tennis, cricket, calcio, disciplina quest’ultima di matrice anglosassone come tutte le altre che però ben attecchisce anche nei Paesi latini.
Arriviamo al presente: dal dopoguerra e più marcatamente negli ultimi vent’anni nel look da città confluiscono prima tracce e poi tipologie vere e proprie attinenti all’abbigliamento da tempo libero. Leisure forever and ever? Certo che no. Ma di sicuro maggiore scioltezza e modulazioni più stimolanti oltre che più libere, anche nella “tenue de ville”.
Partiamo dalla polo che tranquillamente sostituisce da decenni la camicia sotto la giacca senza suscitare alcuno scandalo. Proseguiamo con i bermuda, indossati, quantomeno d’estate, sotto il blazer: un vezzo recente, ma sempre più accettato e visibile. Pensiamo ai pantaloni stropicciati in lino che un tempo si indossavano soltanto al mare con le maglie fantasia morbide e sciolte, oppure con la camicia a maniche corte per giocare a golf.
Arriviamo alle “alpargatas”, le calzature con la suola in corda e la tomaia in tela della stragrande maggioranza degli Spagnoli – un tempo, nonostante la crisi attuale, ben più poveri di oggi, dall’Aragona all’Andalusia, tanto da non potersi permettere altri tipi di scarpe – e che noi chiamiamo alla francese espadrilles, ora tranquillamente abbinate a giacca e pantalone semi-formale. E se non sono espadrilles, possono persino essere sandali… Giorgio Re
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