70s RULE AGAIN

Si respira nuovamente il sapore degli anni Settanta nel panorama, da anni ormai fluido e sfaccettato, della moda Uomo? Pare proprio di sì. Sarebbe improprio parlare di déja vu. L’aria è nuova, ma i richiami sono forti ed inequivocabili. Richiami, che si articolano un po’ a tutto campo: non si limitano, alla sola conformazione dei capi, coinvolgendo anche l’approccio al colore ed alla materia, certe lavorazioni, lo sguardo rivolto alle culture differenti e ad orizzonti extra-occidentali.

Va tenuto presente un dato essenziale: fermo restando che le figure di riferimento sono personaggi noti, negli anni Settanta entra nell’accezione comune un approccio al vestire già sperimentato nella seconda metà del decennio precedente, a cavallo tra l’era beat ed il flower power.

Ma, se sino alla fine dei Sessanta il “nuovo” volto dello stile al maschile era osato da singole categorie – giovani e studenti in primo luogo, artisti, intellettuali e fashion addicted – successivamente esso diventa di massa ed entra negli uffici, nelle imprese, nelle banche, nei cosiddetti salotti buoni e diventa davvero di tutti, manifestandosi su larga scala per le strade e persino all’uscita delle fabbriche, che ancora esistevano…

Ciò che prima era stravaganza, ora è “la moda”. Si può partire dal mutamento delle proporzioni che assumono sia i capi in toto, sia le loro singole parti. Un dato evidente riguarda il pantalone, che si allargano, e non poco, verso il fondo. Nel linguaggio comune si parla di pantaloni a “zampa d’elefante”. Allo stesso modo si ampliano i colli delle camicie – a “becco d’oca” – e un po’ tutti i revers: della giacca, dei trench, dei cappotti. Assumono misure extra le cravatte, mentre i papillon assumono talvolta aspetti un po’ clowneschi.

Intanto le città si colorano. Nessuno è più vincolato al grigio/blu/marrone. Quasi tutto è in technicolor: camicie, pullover, completi interi o spezzati. Per non parlare degli accessori: cravatte, foulard – quasi un must, portati fuori dal collo extra – persino le scarpe, che adottano il plateau – al tempo detto “zeppa” – come quelle femminili.

La maglieria diventa terreno fertile per le variazioni sul tema delle fantasie: i capi, che siano pullover girocollo o cardigan poco importa, hanno lavorazioni spesso molto corpose e patterns in contrasto cromatico che oggi chiameremmo etnici. In qualche modo il flower power cede il passo o forse si evolve nel color power.

A proposito di etnico: l’India tardo-Beatles non è più il solo orizzonte lontano a cui guardare. Si riscopre lo stile Western: diventa abituale veder circolare total look in denim, o quantomeno jeans jacket da cow boy sempre ben ravvicinate al busto e/o giacconi in pelle più generosi nelle dimensioni, indossati anche sopra i business suit. Ci si avvicina alla cultura dei nativi americani e compaiono i primi blouson in shearling, non di rado decorati da ricami e applicazioni.

Vale lo stesso per il mondo celtico, con il tartan che la fa da padrone, o anche per la Russia degli zar che ritorna nel look da mugiko: casacca elementare di tessuto povero come il pantalone ampio, infilato negli stivali a metà polpaccio. “Grazie” ad un generale golpista cileno, Augusto Pinochet, tutto il mondo si accorge del folklore andino e il poncho arriva sotto la luce dei riflettori, mentre non poche disegnature animano altre tipologie di capi in maglia.

La lezione di moda dei Settanta, se così possiamo chiamarla, parla certamente di libertà, di visioni aperte e di desiderio di osare che non riguarda più solo gli addetti ai lavori. Indubbiamente molti codici di quel decennio scompaiono alla vista poco dopo. Ma non vanno affatto persi. Lo dimostrano le passerelle di oggi. A quaranta anni di distanza. Giorgio Re

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STYLE 2005

October 2005. First Issue of Style Magazine, First fashion shooting. Ph. Laurent Kariv, Model Nicolò Montesi, Suit Giorgio Armani.  A super-cool, super-clean and super-stylish black/white. Styling Alessandro Calascibetta.

SPORTWEEK 31 GENNAIO 2015

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VALUE FOR MONEY

Tre look f/w 14/15 di Ermenegildo Zegna Couture realizzati in Vicuna

Gli oggetti alla moda sono, per loro stessa natura, voluttuari. Non è necessario averli. Prova ne sia, infatti, che decine di esperti di marketing lavorino da anni negli uffici nel tentativo, spesso riuscito, di indurre nel consumatore i piu strani bisogni. Resta quindi un fenomeno da commentare l’arrivo sul mercato di un grande quantitativo di cashmere a buon mercato. Golf e altra maglieria a prezzi di affezione che molti acquistano con orgoglio confrontando quanto pagato con le etichette delle grandi marche. E non li scoraggia l’idea che nel capo acquistato, di cashmere, possa essercene molto poco. Ignorano il dilemma. Un bisogno indotto molto ben congegnato, visto che altri capi di lana altrettanto buona tengono ugualmente caldo. E costano meno. Da qui, comunque, una domanda: qual è il prezzo giusto in questo caso, quello elevato o quello friendly? Il problema è arduo e investe anche elementi di etica. Se assumiamo come base il concetto che è etico il principio dell’equo rapporto value for money, vediamo subito che il nostro cashmere “simpatico” nasconde, a volte, delle serie fregature. Il cashmere infatti è una lana e ne esistono di varie qualità. Ad un prezzo basso spesso non corrisponde altro che un golf fatto con gli scarti: materiale da buttare per il quale anche un costo ridotto è alto. Ed ecco maglie che si slabbrano, che fanno i pallini, che durano poco a fronte della lunga vita del cashmere di qualità. Paradossalmente il prezzo basso nasconde una fregatura (debite differenze rispettate, ovviamente) mentre quello alto “può” indicare di caso in caso una indubbia qualità migliore. E  visto che il cashmere non è obbligatorio non si capisce perchè aiutare lo smaltimento dei cascami, per giunta vestiti da oggetto di lusso. Così il costosissimo cashmere Loro Piana ha una spiegazione nella sua provenienza da cuccioli di capra hircus, un vello leggerissimo che scarseggia in natura. Di baby cashmere se ne ottengono 30 grammi a capretto, da qui il costo che cresce in esponente a seconda della quantità utilizzata. Altrettanto preziosa è la materia prima Zegna che ha un piano speciale per la vicuna, altro materiale raro di cui non si parla abbastanza. La vicuna è un animale andino da cui si ricava una lana rara. Gli animali erano in via di estinzione. Il Gruppo Zegna è diventato socio del Consorzio che per primo è stato autorizzato alla commercializzazione della Fibra di Vicuna sotto il controllo del CITES (Convenzione Internazionale per il Commercio delle Specie Minacciate di Estinzione), che rappresenta una risorsa fondamentale per la popolazione delle Ande. Gli animali sono stati salvati dall’estinzione e il raro e prezioso tessuto è diventato uno dei vanti del made in Italy. Value for money, quindi. E due casi da ricordare di business della moda ecosostenibile. Luisa Ciuni

Fashion garments are, … Continua a leggere →

TEST SHOT 2014

A never published shot. Model Daan van der Deen, Picture Andrea Gandini, Clothes Paul and Shark, Styling Alessandro Calascibetta.