GOOD VS. ETHICAL FASHION
Il fondatore di Cruciani, Luca Caprai (ph. credits: Maria Teresa Furnari)
Moda buona e moda etica: capita spesso che questi elementi vengano confusi e che si considerino moralmente perfette tutte quelle iniziative volte a fare produrre nicchie di prodotto in zone decentrate del mondo per dare lavoro al villaggio tale o al gruppo etnico talaltro. Si tratta spesso di cose eccellenti e ottimamente ispirate che, tuttavia, non smuovono di un centimetro il mondo produttivo del fashion che in certe zone del mondo è quando di più iniquo esista. Una sorta di pannicello caldo che consente per un periodo di non occuparsi più delle ingiustizie del settore fino al momento in cui arriva una nuova causa da caldeggiare.
Tuttavia si sta formando una corrente di pensiero sempre più forte che unisce le attività di sostegno ai paesi in difficoltà a quelle che, rispetto al buonismo, preferiscono conoscere, ad esempio, la filiera di un capo, la produzione salubre e remunerata oltre che tutelata dalla legge, la proprietà intellettuale e tutto quell’insieme di elementi che rendono diverso un prodotto «legale» italiano (o di un altra democrazia occidentale, ovviamente) rispetto alle produzioni corsare.
C’è da dire che ci sono marchi italiani che mixano con abilità tanto il buonismo che una più robusta etica. Fra gli altri e senza pretesa di completezza citiamo Cruciani. Questo marchio, infatti, sviluppa da tempo un’attività di charity attraverso degli appositi braccialetti di macramè (l’ultimo si chiama Lucky Star) molto fashion il cui ricavato va a organizzazioni per la cura dell’infanzia disagiata. A questo Cruciani unisce l’uso dei filati italiani e una cura particolare nella tintura dei capi da uomo, studiata per essere ecosostenibile. La tecnica si chiama “Natural Stain”, ed è un processo attraverso il quale la colorazione del cashmere più pregiato, proveniente dalla Mongolia interna, avviene attraverso l’utilizzo di bacche, erbe e radici. Colori delicati e non inquinanti. Una vittoria rispetto alla chimica pesante. Luisa Ciuni
Good fashion and ethical fashion: these two concepts are often confused, so that all those enterprises intended to hire on that village or that ethnic group in decentralized areas of the world are considered morally irreproachable. They are usually excellent and inspired initiatives that, however, don’t change the productive side of fashion at all, that in some areas of the world is totally unfair. A kind of warm cloth that allows, for a period, not to worry about injustice until the moment when a new cause to support comes. However there’s an increasing school of thought that combines activities in support of poor countries with activities that prefer to know, for example, the production chain of a garment, the healthy, remunerated and regulated production, the copyright and all those elements that make a “legal” italian product different from the “pirate” ones. But there are italian brands that mix proficiently do-goodery with a more grounded ethics. For example, we mention Cruciani. This brand has developped for a while a charity project with the selling of fashionable macramè bracelets (the last one is called Lucky Star), whose proceeds go to associations for childhood. Furthermore, Cruciani uses italian yarns and pays particular attention to the dyeing of men’s garments, studied to be ecosustainable. This process is called “Natural Stain”, and obtains from berries, herbs and roots, the dye for the finest cashmere, coming from the inland Mongolia. Delicate and unpolluting shades. A victory compared to heavy chemistry. Luisa Ciuni
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