ART AND FASHION. ART IN FASHION.
Assioma: la moda è un’interpretazione della vita in tutte le sue manifestazioni, necessariamente soggettiva perché si fonda sul sentire personale del creativo, che persegue l’obiettivo dell’unicità dei risultati. Proprio nel segno della creatività e dell’unicità, tra le infinite tessere del mosaico che chiamiamo realtà, è da sempre privilegiata la liaison che avvicina la moda alle altre dimensioni del fare cultura: letteratura, cinema, ma soprattutto arte figurativa. Moda ed arte: la prima ha costantemente guardato alla seconda come fonte di ispirazione, come “Wunderkammer” da cui ricavare suggestioni da reinterpretare poi negli abiti. La storia del costume è segnata da innamoramenti per innumerevoli orizzonti artistici. Si passa, per esempio, dalle fascinazioni per le “chinoiserie” al culto del “japonism in fashion”. L’espansione coloniale è il canale attraverso il quale giungono nel vestire occidentale i riferimenti etnico-esotici di matrice africana, i colori della Polinesia, i richiami di sapore primitivo al tattoo. Quello tra arte moda è un rapporto in continua evoluzione che conosce un momento-chiave all’inizio del ventesimo secolo, quando la relazione diventa bidirezionale. E’ il momento in cui l’arte si accorge della moda, inizia a studiarla, a riconoscerla come ambito in cui l’essere umano esprime non solo la sua potenzialità creativa, ma soprattutto la sua identità. E’ il momento delle avanguardie storiche del primo ‘900: Futurismo, Costruttivismo russo-sovietico, Dadaismo, Cubismo.
Filippo Tommaso Marinetti, padre del Futurismo, è il primo intellettuale che evita di deplorare “le insostenibili leggerezze della moda” – atteggiamento più che abituale tra i suoi consimili – arrivando ad indicare la moda stessa, con il suo continuo mutare, come codice di comportamento ideale per gli artisti che si propongono di guardare avanti. Non è da meno Giacomo Balla, con il suo trattato – in verità un manifesto – del 1914, “Le vêtement masculin futuriste”. L’arte e la cultura teorizzano la moda. E la creano, propugnando un abbigliamento che non si limita al nero, al grigio ed alle mezze tinte borghesi, per portare invece lo slancio del colore e delle forme insolite nelle strade e nei salotti. E’ il trionfo delle geometrie – rombi, losanghe, triangoli – giocate in stoffe e colori differenti, accoppiati tra loro secondo una tecnica antesignana rispetto all’odierno patchwork. E’ una nozione rivoluzionaria ed anticonformista, che intenzionalmente pone l’accento sull’eccesso e mira alla lotta contro l’omologazione e la massificazione della nuova era, nei loro risvolti spersonalizzanti, ben raccontati in due opere-cult: il film “Metropolis” di Fritz Lang ed il romanzo “1984” di George Orwell. In una dimensione del vivere del tutto diversa, placati gli intenti rivoluzionari, la moda contemporanea grazie alla sua intelligenza intrinseca sa far fruttare una lezione così importante, così decisiva. Da dichiarazioni di rottura, di protesta e di ribellione, il gusto per il colore, il gioco degli intarsi, la tecnica del patchwork si sono evoluti sino a divenire intenti stimolanti di eleganza, espressioni di know how tecnologico, ricerca instancabile di novità. Che è poi l’anima vera della moda. Di oggi e di sempre. Giorgio Re
Axiom: fashion is an interpretation of life, necessarily subjective because it’s based on personal feelings of the designer, that follows the uniqueness of results. In that sign of creativity and uniqueness, the relathionship between fashion and other cultural expressions (literature, cinema, but above all pictorial art) has been always favoured. Fashion and art: the first one has constantly looked at the second as a source of inspiration, a “Wunderkammer” full of suggestions to reinvent in clothes. History of costume has been marked by romances for many artistic trends; for example, the fascination of “chinoiserie” related to the cult of “japonism in fashion”. Colonial expansion is the channel through which the ethnic-exotic references from Africa, Polinesian colours, primordial tattoos, come to Occidental clothing. The ever-changing relathionship between art and fashion has its key moment at the beginning of the 20th century, when it becomes bidirectional. It’s when art takes notice of fashion, starts to study and recognize it as an environment in which the human being expresses not only his creative potential, but above all his identity. It’s time of the historical avantgardes of the early 1900s: Futurism, Constructivism, Dadaism, Cubism. Filippo Tommaso Marinetti, founding father of Futurism, is the first intellectual that avoids to deplore “the unbearable lightness of fashion” – more than usual attitude among his counterpart – pointing indeed fashion itself, with its continuous changing, as a behaviour code for forward-looking artists. The same idea belongs to Giacomo Balla; it’s declared in his essay – actually a manifesto – of 1914, “Le vêtement masculin futuriste”. Art and culture theorize fashion. And they create it, supporting a way of dress not limited to black, grey and the bourgeois mid-shades, but bringing colour and unusual shapes in the streets and parlors. It’s the triumph of geometries – rhombuses, lozenges, triangles – on different fabrics and in different shades, paired with a procedure prior to the modern patchwork. A revolutionary and anticonformistic concept, that with purpose emphasizes excess and aims at the struggle against omologation and homogenization of the new era, well described in two cult works: the movie “Metropolis” and the novel “1984” by George Orwell. In a completely different way of life, calmed the revolutionary aims down, contemporary fashion, thanks to its inner intelligence, knows how to get the most of such an important and decisive lesson. From being declarations of breaking and rebellion, the taste for colours, the play of marquetries, patchwork process evolved to become stimulating points of elegance, expressions of technological know-how, endless research of innovation. Which is the real soul of fashion. Of today and ever. Giorgio Re